CCNL e FONDO: FABI all’attacco

CCNL e FONDO: FABI all'attacco

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Da LIBERO di domenica 12 GIUGNO 2011
Il sistema degli sportelli - Banche solide, non per i bancari - Sotto la regia di Profumo, Armenise, Innocenzi e Arpe, tra esuberi e prepensionamenti gli istituti italiani dal 2000 hanno lasciato a casa quasi 40 mila persone. E non è finita
Di FRANCESCO DE DOMINICIS
Ha ragione Mario Draghi quando sostiene che il sistema bancario italiano ha retto - e meglio di altri - alla bufera finanziaria internazionale. Secondo il governatore della Banca d'Italia, gli istituti della Penisola sono usciti indenni dalla crisi, senza alcun fallimento e, soprattutto, senza che lo Stato abbia tirato fuori quattrini. I cittadini, quindi, non sono stati salassati con nuove tasse per salvare le banche.
Menomale.
La tempesta perfetta sui mercati finanziari, in ogni caso, non è stata una stagione a costo zero, nemmeno per l'industria creditizia della Penisola. Il conto che non è stato presentato ai contribuenti sta per essere recapitato altrove: cioè sulla testa dei colletti bianchi che lavorano allo sportello. Un allarme esagerato? Non proprio.
Del resto a lanciare il primo, duro segnale è stata la scorsa settimana IntesaSanpaolo: 10 mila esuberi su 80 mila lavoratori. Più del 10%: un fulmine a ciel sereno. E il passetto indietro degli scorsi giorni compiuto dai vertici di Ca' de Sass con lo sconto di 2mila licenziamenti non cambia granché la sostanza che assume toni drammatici: allo sportello la vita è cambiata. Il posto fisso pare un miraggio e i sindacati si preparano alla guerra. Quella della prima banca italiana, peraltro, è solo un pezzetto di una battaglia assai più vasta, che si snoda attorno alla sfida sul contratto di lavoro.
Sfoltire il personale pare l'unico modo per tenere a galla i conti delle banche. Pure il Monte dei paschi di Siena e Ubibanca - terza e quarta impresa creditizia del Paese -si apprestano a mettere mano al piano industriale: migliaia di esuberi sono già in agenda.
C'è chi dice che prima o poi alla Popolare di Milano, salvo interventi esterni (si parla di Mediobanca), dovranno rivedere i programmi e valutare tagli all'organico.
Esuberi e prepensionamenti, in ogni caso, non sono una novità allo sportello. Negli ultimi dieci anni la forza lavoro nel settore creditizio è calata di 38 mila unità. Solo negli scorsi 24 mesi è passata da 343mila a 336 mila posizioni. Dentro Intesa e Unicredit i ridimensionamenti dell'organico più significativi. Tuttavia, un contributo robusto è arrivato anche da Ubi, Mps e Banco Popolare. Per fare chiarezza, serve un passo indietro. Il kick off, fa notare un banchiere di lungo corso, è arrivato grossomodo «nel2000, quando giovani e rampanti manager hanno preso in mano l'industria bancaria: Giampiero Auletta Armenise, Matteo Arpe, Fabio Innocenzi, Alessandro Profumo e Gianpiero Fiorani». Di fatto gli artefici delle mega aggregazioni e fusioni che hanno creato tanti giganti, ma con le gambe non troppo stabili, almeno per certi aspetti. Un gruppetto di cui fa parte, per la verità, pure Corrado Passera di IntesaSanpaolo: l'unico ancora al suo posto, «capace di resistere al ritorno di fuoco delle grandi Fondazioni », azioniste dei principali gruppi bancari, che hanno fatto parecchie manovre ai vertici degli istituti.
La partita è delicata. Un ruolo chiave lo giocano i sindacati. è qui la faccenda - secondo alcuni banchieri - è quasi tutta sulle spalle della Fabi guidata da Lando Sileoni. Le altre sigle del settore hanno un peso specifico piuttosto contenuto e sono accusate di aver avuto atteggiamenti troppo morbidi in passato, garantendo così anche il silenzio della politica. La Fabi, organizzazione indipendente con 100mila iscritti, detta la linea e ha cominciato ad alzare la voce, ricorrendo addirittura a minacciare uno sciopero nazionale.
E nelle scorse settimane è riuscita a fare muro con tutti i sindacati per stoppare un blitz dei banchieri, che avevano provato a introdurre le indennità di disoccupazione anche allo sportello.
Una cassa integrazione ad hoc che avrebbe aperto le porte, secondo i calcoli dei sindacati, ad almeno 30 mila licenziamenti.
Opzione assai gradita ai vertici degli istituti, ovviamente. Costretti, adesso, a trovare alternative.
Anzitutto hanno cercato di forzare la mano sul rinnovo delle buste paga. La regia è in mano al signore dei contratti, Francesco Micheli di Intesa: ma la sua presenza non ha ancora consentito alle banche il raggiungimento dei risparmi sperati.
I banchieri, poi, hanno tentato di scaricare sui colletti bianchi anche i maggiori costi del fondo esuberi: scadute alcune regole e finite in soffitta le agevolazioni fiscali, gli ammortizzatori sociali dei banchieri ora pesano troppo sui bilanci degli istituti.
Il giocattolo ha funzionato senza intoppi per una sfilza di anni e ha coperto sistematicamente gli errori dell'alta dirigenza. Ecco perché in tanti si interrogano sulle ragioni che hanno spinto il governo a eliminare dal decreto sviluppo la norma che avrebbe consentito a Bankitalia di cacciare i manager peggiori.
Da Il Giornale di sabato 11 giugno 2011

Da Il Sole 24 ore di sabato 11 giugno 2011

Da Plus 24 di sabato 11 giugno 2011