27 gennaio 2012, giornata della memoria
Tutti abbiamo il diritto e il dovere di ricordare. Ricordare per non negare; ricordare perché la storia insegna; ricordare perché bambini, donne e uomini senza colpa sono stati torturati e portati alla morte.
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27 gennaio 2012, giornata della memoria
Tutti abbiamo il diritto e il dovere di ricordare. Ricordare per non negare; ricordare perché la storia insegna; ricordare perché bambini, donne e uomini senza colpa sono stati torturati e portati alla morte.
MAI PI?

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27 gennaio, giornata della memoria
Tutti abbiamo il diritto e il dovere di ricordare.
Ricordare per non negare; ricordare perché la storia insegna; ricordare perché bambini, donne e uomini senza colpa sono stati torturati e portati alla morte.
Nella Bibbia, l’imperativo zakhor, «ricorda», ricorre numerose volte, tanto da diventare un precetto.
Per ricordare tutte le vittime della follia omicida nazista, bene ha fatto il Parlamento italiano, che ha scelto, nel 2000, la data del 27 gennaio. Il 27 gennaio del 1945, infatti, le truppe sovietiche, avanzando nel territorio polacco, raggiungevano il campo di Auschwitz, da pochi giorni abbandonato dalle SS tedesche. Il mondo intero cominciava, così, a prendere coscienza delle proporzioni e della radicalità dello sterminio del popolo ebraico e, insieme con quello, di centinaia di migliaia di altri individui che, secondo l’ideologia hitleriana, non dovevano né potevano trovare posto nella nuova Europa ariana.
Nei paesi occupati dai nazisti, soprattutto quelli dell’Europa orientale, come nella stessa Germania, furono così, insieme con gli ebrei, perseguitati, deportati e sterminati gli appartenenti a minoranze etniche considerate inferiori (sinti, rom e alcune minoranze slave), o religiose (testimoni di Geova), e, in nome di un aberrante principio eugenetico, quanti erano affetti da handicap fisici o mentali, o coloro che, secondo l’ideologia nazista, erano colpevoli di una inaccettabile devianza sociale (asociali, omosessuali, persone senza fissa dimora).
Fra le vittime dello sterminio vanno poi anche ricordati quei prigionieri fatti dai nazisti nei paesi occupati, a cui non veniva riconosciuto lo status di prigioniero di guerra e che venivano inviati in campi di concentramento, dove le condizioni detentive erano durissime.
Molti di questi, soprattutto nei paesi dell’Europa orientale, in considerazione della loro posizione sociale o politica (dirigenti comunisti o ufficiali dell’esercito) non erano neppure deportati, ma brutalmente eliminati una volta catturati. Fu quanto, per esempio, accadde in Polonia nei primi tempi dell’occupazione nazista, con l’obiettivo di eliminare preventivamente ogni focolaio di resistenza e di avviare, distruggendo l’élite dirigente di quel paese, la riduzione dei polacchi ad un popolo di schiavi.
Nei sessantatre anni seguiti alla sconfitta del nazismo, i campi di concentramento, le guerre contro i civili, i genocidi – purtroppo – non sono scomparsi, anzi sono proseguiti, colpendo centinaia di milioni di persone.
L’impegno delle organizzazioni internazionali, degli stati, dei singoli cittadini contro questi crimini è oggi, quindi, ancor più necessario ed urgente.
Sebbene quello perpetrato dal nazismo non sia l’unico sterminio conosciuto dalla storia del ‘900, né il regime nazista l’unico ad aver edificato un vasto ed articolato “universo concentrazionario” esso rimane, per più di un aspetto, demonicamente esemplare.
è la sistematicità con cui fu organizzato, quasi si trattasse di un’impresa industriale, unita alla volontà, mai manifestatasi prima nella storia, di sterminare un intero popolo e con esso tutti gli individui definiti dall’ideologia nazista come pericolosi, per la purezza della “razza ariana”, a renderlo unico.
Senza la tecnologia moderna, senza la “razionalità burocratica” propria di società arrivate allo stadio di complessità di quella tedesca (in virtù della quale agli stessi esecutori il terribile compito loro affidato poteva sembrare nulla più che una questione “amministrativa”), lo sterminio, così come fu concretamente realizzato, non sarebbe stato possibile.
Non solo. In nessun altro caso, come in quello nazista, il campo di concentramento divenne il laboratorio in cui il regime intendeva “costruire” il mondo nuovo di cui parlava la sua ideologia, quasi si trattasse di un enorme esperimento sulla natura umana, il cui fine era quello di “reificare” le vittime e trasformare in “superuomini” i carnefici.
A distinguere Auschwitz dagli altri stermini di massa del 900 è, in un certo senso, proprio la sua modernità.
è per questa ragione che Auschwitz apparve subito come il punto più basso del secolo e divenne col tempo il “buco nero” della coscienza collettiva, non solo dei tedeschi, ma di tutta la civiltà europea, il simbolo del male radicale nella storia, qualcosa di inintelligibile, a partire dalle categorie storiche e filosofiche con cui normalmente s’indagava il passato o ci si sforzava di comprendere il presente. La rappresentazione di sé e della propria storia elaborata per secoli dalla cultura europea, quella di un inarrestabile progresso della tecnologia e della scienza, cui si univa necessariamente anche quello della morale e della civiltà, veniva – così – radicalmente “confutata” dalla realtà di Auschwitz.
La barbarie più assoluta sembrava essere il volto nascosto della società moderna, una possibilità da sempre insita nel progresso stesso della società umana e non solo una deviazione occasionale dal suo naturale cammino.
Nel 1938, anno di promulgazione delle leggi razziali di Norimberga, quasi tutti tacquero. Solo pochi si fecero sentire, ma la loro voce era troppo esitante o debole e il loro urlo di rabbia per quel mondo ingiusto era troppo flebile.
Non dimentichiamoci che quel silenzio collettivo rese possibile l’immane tragedia della Shoa: milioni di ebrei furono deportati, dovettero abbandonare la loro casa, il loro paese, il loro cielo, i loro familiari per andare a lavorare in condizioni disumane, per essere torturati, vivisezionati, annientati, perché di loro si perdesse anche la memoria.
Se questo è un uomo
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e il freddo grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa, per via,
Coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi