Ampia intervista dei quotidiani del gruppo Corriere e di tutti i corrieri locali al leader della FABI Sileoni. "Nostri obiettivi sono: mantenere i livelli occupazionali e creare le condizioni per aumento dei ricavi nelle banche rilanciando la consulenza e le nuove professioni".">

SILEONI: “LA SFIDA DELLE BANCHE? SOSTENERE LE IDEE”

Ampia intervista dei quotidiani del gruppo Corriere e di tutti i corrieri locali al leader della FABI Sileoni. “Nostri obiettivi sono: mantenere i livelli occupazionali e creare le condizioni per aumento dei ricavi nelle banche rilanciando la consulenza e le nuove professioni”.
SILEONI:
Ampia intervista dei quotidiani del gruppo Corriere al leader della FABI Sileoni. "Nostri obiettivi sono: mantenere i livelli occupazionali e creare le condizioni per aumento dei ricavi nelle banche rilanciando la consulenza e le nuove professioni".

CORRIERE dell'Umbria-di Maremma-di Siena e di Viterbo mercoledì 22 luglio 2015
Intervista al segretario generale della Fabi Lando Maria Sileoni che parla di contratti, nuovo modello, bcc e popolari La sfida delle banche? Sostenere le idee

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ROMA – Lando Maria Sileoni, sposato, una figlia, Lavinia, risiede a Orvieto ma svolge la sua attività lavorativa a Roma e nelle più importanti città italiane. Al suo secondo mandato da segretario generale Fabi (Federazione autonoma bancari italiani), è uno dei personaggi più autorevoli dell’industria bancaria italiana e le sue posizioni sono temute, ma al tempo stesso rispettate, dai principali banchieri italiani. Molto corteggiato dalla politica, ha sempre escluso eventuali candidature. “Amato dagli iscritti ma non solo” – così ha scritto, recentemente, Il Sole 24 Ore – è guardato con timore ma anche apprezzato per le sue capacità sia politiche sia tecniche, nonostante un carattere certamente non facile. Guida la prima organizzazione sindacale del credito: la Fabi, che annovera oltre 105mila iscritti su 309mila bancari, pur in presenza di altre 7 organizzazioni sindacali. Sindacato che da solo nel 1949 sottoscrisse il primo Contratto Nazionale dei bancari italiani e che conta oggi oltre6mila dirigenti sindacali e 98 sedi provinciali, la Fabi quest’anno ha firmato, insieme alle altre organizzazioni, sia il nuovo contratto collettivo dei 309mila bancari italiani, sia quello dei 6.500 dirigenti di banca; due dei pochissimi contratti nazionali fino ad oggi rinnovati nel mondo del lavoro. Mentre da oltre un anno sono in corso trattative per chiudere anche il rinnovo contrattuale dei 37mila lavoratori delle banche di credito cooperativo.
In un momento particolarmente difficile, avete chiuso due importanti accordi: il rinnovo del contratto nazionale dei 309mila lavoratori bancari e quello dei 6.500 dirigenti di banca. Che cosa siete riusciti a portare a casa?
Non è stata una passeggiata. Tutt’altro La categoria ha corso il rischio di rimanere senza il proprio contratto collettivo nazionale di lavoro, in quanto l’associazione delle banche italiane aveva posto un ultimatum di rinnovo entro il 31 marzo. Il nuovo contratto garantisce stabilità al settore e certezze ai diritti collettivi e individuali dei lavoratori, ma soprattutto ci permetterà da settembre, quando partiranno le fusioni, di gestire eventuali eccedenze di personale ed esuberi. Le stesse considerazioni valgono per il contratto dei dirigenti di banca, in quanto anche loro, che non devono essere confusi con i top manager, vedranno assicurate in sede aziendale e di gruppo le loro tutele. Abbiamo così chiuso positivamente due importanti vertenze. Purtroppo ancora pochi sono i contratti di lavoro sottoscritti in altre categorie.
Resta aperto il fronte del rinnovo del contratto per i 37mila lavoratori delle banche di credito cooperativo. A che punto è la situazione?
La trasformazione in spa delle bcc, voluta dal Governo, imporrà nuovi scenari, all’interno dei quali già s’intravede la volontà da parte di qualcuno di approfittare dell’attuale situazione di confusione e di malessere contro la riforma. Contrasteremo con fermezza quanti, come è già accaduto, si ostinano a dichiarare nel settore esuberi un tanto al chilo. Non esistono previsioni attendibili sullo stato di salute del credito cooperativo, soprattutto in riferimento alla tenuta degli attuali livelli occupazionali. Se qualcuno pensa di poter imporre ai 37mila addetti delle bcc lo stato di solidarietà per costringere i lavoratori a pagare di tasca loro eventuali eccedenze di personale, si sbaglia di grosso. Vorrei ricordare che in Abi non c’è mai stato, negli anni passati, un numero definito di esuberi a livello di settore e che ogni azienda e ogni gruppo ha affrontato l’argomento all’interno di un proprio piano industriale. Ora c’è chi nelle bcc, invece, vorrebbe concordare con il sindacato un taglio di alcune migliaia di posti di lavoro senza avere la minima conoscenza di quanti realmente sono- esistono- esuberi azienda per azienda.
Ci dice con chiarezza che cosa intendete per nuovo modello di banca al servizio del Paese, da voi più volte rivendicato?
Prima di rispondere, vorrei mettere in evidenza alcuni numeri. Se consideriamo il periodo 2000- la crescita del Pil accumulato nell’eurozona è stata pari al 15%. I Paesi europei sono cresciuti in maniera differente. In Gran Bretagna il Pil è salito del 30%, mentre in Italia dello 0%. Da questa situazione di stallo, se ne esce con una politica innovativa, rilanciando, ad esempio, la “manifattura”, dove siamo secondi soltanto alla Germania.
Un nuovo modello di banca, quindi, secondo voi serve principalmente per rispondere alle domande d’innovazione delle aziende. Ci faccia qualche esempio…
Posso citare iPhone e Luxottica. L’iPhone è diventato un contenitore di servizi e ha 640 componenti perché è, contemporaneamente, telefono, pc, fotocamera, molto altro. Gli americani hanno adottato una strategia commerciale vincente: gestiscono solo la progettazione, le reti commerciali e il marketing del prodotto e affidano a Taiwan e Singapore la componentistica, mentre l’assemblaggio alla Cina. Il risultato finale è un guadagno netto per l’Apple di 321 dollari a telefono. Con questo meccanismo, la società fondata da Steve Jobs ha chiuso il quarto trimestre 2014 segnando un utile netto di 18 miliardi di dollari. Tutto ci ò per dimostrare che si pu ò competere solo sulla manifattura “avanzata” ad alto contenuto d’intelligenza e di valore aggiunto. Questa filosofia americana si sposa perfettamente con la vocazione soprattutto creativa dell’imprenditoria italiana, storicamente povera di capitali. Un altro esempio interessante è quello di Luxottica: ha creato gli occhiali con microchip, tarati sulla vista personale di ognuno e collegati a una serie di servizi. Con questo nuovo sistema, la Luxottica si rinnova con i suoi clienti, reinventando i modelli di occhiali, le tecniche di riparazione e il proprio magazzino. Ma soprattutto, amplia il numero di servizi collaterali che potrà offrire.
Quindi, rispetto all’esigenze della così detta manifattura avanzata, di quale sistema bancario abbiamo bisogno?
Di un sistema bancario che sappia accompagnare sia la nuova industria italiana sia la nuova manifattura avanzata. Dovendosi le aziende ristrutturare, hanno bisogno di una banca che sappia offrire canali creditizi fluidi e a basso costo. Ha ragione il Presidente Patuelli quando afferma con chiarezza che in questi ultimi mesi si è registrato un aumento importante di mutui a imprese e famiglie, ma è necessario ora un adeguamento strutturale e quindi politico e organizzativo delle banche rispetto alle nuove esigenze delle imprese. In quest’ottica abbiamo proposto all’Abi alle aziende e ai gruppi bancari un confronto per condividere la necessità di recuperare vecchie professioni, di rilanciare il concetto di consulenza e di utilizzare tutte le informazioni che le banche hanno della clientela per offrire servizi sempre più efficaci e personalizzati. Vedremo se i gruppi sapranno raccogliere questa sfida nei prossimi piani industriali. I nostri obiettivi, quindi, sono: mantenere gli attuali livelli occupazionali e creare le condizioni per un aumento dei ricavi delle banche.
Segretario, secondo lei, come deve cambiare, quindi, il settore bancario?
Ci sono delle priorità: serve una bad bank pubblica e privata per gestire gli oltre 180 miliardi di sofferenze del sistema. Il Governo sta lavorando bene in questa direzione, ma è necessario che stanzi a favore dell’iniziativa 3 miliardi di euro più 10 miliardi a garanzia. Il ministro dell’Economia Padoan, che ha ottimi rapporti internazionali e, oltre a essere un ottimo tecnico, è anche un raffinato politico, sa bene che questa è la priorità. Con la creazione di una bad bank, le sofferenze uscirebbero così dai bilanci bancari e gli istituti potrebbero liberare urgenti risorse per il credito, da indirizzare a famiglie e imprese. Resta indispensabile, per ò, che le banche si attrezzino istituendo fondi specializzati per non lasciare l’esclusiva ai fondi privati, sia quelli nati, sia quelli che stanno nascendo. La stessa innovazione dei gruppi creditizi passa attraverso il venture- che, come avviene negli Stati Uniti, finanzia le idee e i progetti. Ecco, questa è la vera scommessa da vincere: sostenere economicamente le idee migliori di chi ha qualcosa da dire e da dimostrare.
Le popolari hanno 18 mesi di tempo per trasformarsi in spa, le banche di credito cooperativo navigano a vista e vivono nel terrore di trasformarsi in società per azioni. Da due grandi gruppi Intesa e Unicredit si sono chiamati fuori dal risiko bancario e non intendono più farsi carico degli istituti in difficoltà. Che cosa ne pensa?
Il primo gruppo che si trasformerà in spa a ottobre sarà Ubi Banca e questo evento da una parte rapp r e – senterà uno stimolo, ma dall’altra sarà un fatto seguito con attenzione da chi teme il cambiamento. La maggior parte delle banche popolari si trasformerà probabilmente all’ultimo minuto. Su ci ò incidono una serie di fattori: il rapporto coi territori d’origine le ambizioni dei singoli banchieri, la difficoltà di costruire nuovi equilibri di potere e il peso contrattuale delle famiglie più importanti, che condizioneranno pesantemente il risultato finale. Le poltrone e gli alti stipendi piacciono ancora a molti e, aldilà delle dichiarazioni di facciata, mantenerli rimane la priorità per alcuni dei vertici delle stesse popolari. Il rischio concreto, ad avvenuta trasformazione in spa, sarà poi che dopo qualche tempo i nuovi azionisti di maggioranza delle banche in questione non si sentiranno più rappresentati dai vecchi vertici. Insomma, come nei più violenti terremoti, ci saranno delle scosse di assestamento prima della normalità. Sarebbe un errore se il prezzo e le conseguenze della trasformazioni in spa e delle fusioni ricadessero sui lavoratori bancari e sulla clientela. Un altro elemento da tenere sott’ occhio è il modello di governance, che sta rapidamente cambiando nei grandi gruppi bancari. Se Intesa eliminerà il duale, il contagio avverrà automaticamente e velocemente perché imposto dalle autorità competenti. Non lo dice nessuno, ma le prossime fusioni saranno condizionate dall’esito delle inchieste in corso in diverse procure e soprattutto dalle decisioni che, a seguito di queste, prenderanno la Bce e Bankitalia.
Secondo lei ci sarà il matrimonio tra il Gruppo Ubi e il Montepaschi?
Spero che il Montepaschi rimanga autonomo, anche se lo scenario che si prospetta è molto complesso. Lo stesso andamento del risiko bancario prenderà forma e sostanza soltanto nel momento in cui sapremo se il Gruppo Mps camminerà con le proprie gambe o se convolerà a nozze con un altro istituto. Penso che la situazione si sbloccherà nel momento in cui la Bce di Mario Draghi e Bankitalia prenderanno in mano la situazione rispetto alla scelta di un eventuale partner per Mps e decideranno che è ora di muoversi. A noi, per ò, stanno a cuore i posti di lavoro e il fatto che il più antico istituto di credito italiano non perda la propria autonomia.
Il mandato di Patuelli in Abi scade il prossimo anno mentre quello di Azzi in Federcasse terminerà a dicembre. Inoltre, caso di dimissioni dalla presidenza di Mps, Alessandro Profumo automaticamente decadrà dalla guida del Comitato sindacale e del lavoro di Abi. Qual è il suo giudizio sull’operato dei tre presidenti?
Patuelli è subentrato alla presidenza dell’Abi in un momento particolarmente difficile. Durante la sua gestione – non era affatto scontato – ha ridato autorevolezza politica all’Abi Azzi ha oggi l’ingrato compito di gestire la così detta autoriforma del movimento cooperativo italiano, cercando di mettere insieme le direttive del governo, quelle di Bankitalia e le linee tradizionalmente autonome di alcune federazioni regionali. Credo che sia uno dei pochi che possa riuscirci, anche se non ho apprezzato la chiusura tutta ideologica e a riccio che è stata attuata da Federcasse rispetto al rinnovo del contratto nazionale dei 37mila lavoratori del credito cooperativo, rinnovo che ancora tarda ad arrivare e per il quale da tempo abbiamo perso la pazienza. Profumo, nonostante i nostri rapporti molto difficili dei primi anni, riconosco di aver operato nell’ultimo rinnovo contrattuale con capacità, lealtà e grande senso di responsabilità. Se dovesse confermare la sua intenzione di lasciare la presidenza di Mps ad agosto, credo che sarebbe una grave perdita per l’intero settore bancario. I problemi normalmente non li abbiamo mai con quelli che ci mettono la faccia, come Azzi, Patuelli e Profumo, ma con quelli abituati a navigare nell’ ombra, che tentano di colpire alle spalle perché mai hanno preso delle “legnate in faccia”, dimostrando sempre scarsa sensibilità sociale. Ma questa è un’altra storia, che, se costretto, approfondir ò a breve.
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